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Il gusto (nuovo) della prossimità
- 5 Settembre 2020
- Pubblicato da: Commissione formazione
- Categoria: Formazione
di Giovanni Grandi*
Tentare – insegnava già Tommaso d’Aquino – significa “mettere alla prova”, e il primo effetto di ogni prova (o tentazione) è quello di guadagnare una più precisa conoscenza di sé, delle proprie risorse e dei propri limiti. Certamente anche la famiglia, o più concretamente le famiglie, sono state messe alla prova in questo tempo di pandemia, specialmente nella fase di lockdown, e per ciascuna si è trattato di una esperienza rivelatrice di ricchezze talvolta nascoste e insospettate così come di fatiche e problemi, che il frequentarsi poco mantiene “sotto il tappeto”.
È chiaro che nella prossimità costretta delle settimane di chiusura entro le mura domestiche molto hanno inciso anche la numerosità dei nuclei familiari e le condizioni abitative. Oltre la grande soglia che separa le persone che vivono da sole da quelle che vivono insieme, ha senz’altro rilevato molto il fatto di essere in due-tre (con alle volte la solitudine amplificata dei figli unici) o – all’altro estremo – di essere una “famiglia numerosa”, abituata a equilibri costruiti fisiologicamente sul fatto di vivere la casa in modo non simultaneo e intensivo. Alla questione dell’ampiezza degli spazi a disposizione va poi aggiunta quella della presenza o meno di sfoghi all’aperto, della qualità urbanistica o ambientale di quel che ciascun nucleo familiare può incontrare affacciandosi alla finestra.
Potremmo aggiungere molti altri ingredienti che hanno differenziato i vissuti, ma questi sono sufficienti per riguadagnare e ribadire la consapevolezza che non è possibile fare un discorso sulla “famiglia” in chiave generale. Ogni nucleo si ritrova, oggi, con i propri nodi venuti al pettine e insieme con alcune interessanti nuove nostalgie: il vedersi con continuità, i pasti consumati insieme, il supporto reciproco nella gestione dei collegamenti e delle piattaforme, i momenti di scherzo e di ilarità per un involontario passaggio “in vestaglia” nell’ufficio dei genitori o nell’aula dei figli sono tutte micro-esperienze di intimità e complicità che, in molti casi, hanno creato maggiore prossimità.
Lì dove non c’erano gravi problemi nelle relazioni, ma solo quell’ordinario perdersi di vista che porta con sé la moltitudine di impegni fuori casa, le persone hanno sperimentato una riduzione dell’estraneità.
Di questo inatteso ritorno di vicinanza, della scoperta di poter vivere bene riducendo la quantità ma aumentando la qualità delle frequentazioni potremmo già avere nostalgia. Potrebbe essere qualcosa che molti hanno apprezzato ma che già hanno nuovamente smarrito nella ritrovata circolazione “outdoor” del tempo estivo.
Molte famiglie di cristiani hanno poi sperimentato forme di preghiera che in precedenza non avevano mai abbozzato, come la celebrazione domenicale di una liturgia della Parola domestica. Se ne è sentito parlare, sono stati offerti dei sussidi, ci sono state fioriture sorprendenti. Ma magari la ripresa delle liturgie Eucaristiche sanificate ha già sovrastato o spento queste esperienze ricche e promettenti. Senza la “costrizione”, nella sola dimensione famigliare alcune novità non sarebbero potute apparire e, se si sono già eclissate, potrebbe essere importante avvertirne appunto la nostalgia, il desiderio di ritrovarle ancora, sia pur in forma diversa, adeguata alla “normalità”.
Ovviamente c’è il rovescio della medaglia: chi confidava (e forse oggi nuovamente confida) nell’essere il più possibile altrove rispetto ai famigliari più stretti, ha percepito tutta la fatica dello stare fisicamente accanto essendo relazionalmente distanti e reciprocamente lontani. In molti hanno misurato con un riacutizzarsi di sofferenza la necessità di non abbandonare le incomprensioni e conflitti a sé stessi, pensando magari che il tempo, da solo e senza qualche tipo di altra iniziativa, possa essere “buon medico”.
In tutti i casi allora il lascito trasversale, che può diventare il “messaggio” della dimensione-famiglia, è forse una rinnovata coscienza della necessità di prendersi cura costantemente e non episodicamente delle cosiddette “relazioni corte”, attraverso l’esercizio quotidiano del far posto all’altro e del servizio all’altro. La dimensione-famiglia, nella straordinarietà del lockdown, si trasforma nel pettine che evidenzia questo nodo e la sua importanza nella vita ordinaria.
Ma questo significa anche che nell’ordinarietà è il contesto più prezioso in cui crescere a maturare quelle buone pratiche e quella sapienza del fare, che sole possono consentirci di affrontare, senza capitolare, i tempi di straordinarietà.
da Segno nel mondo | n. 3/2020, pag. 18-19
* Giovanni Grandi è professore associato di Filosofia morale presso l’Università degli Studi di Trieste, dove è docente di Etica pubblica. Oltre a saggi scientifici pubblica post, video e percorsi formativi, disponibili sui siti giovannigrandi.it e esercizi-morali.it